WordLift 3.1 e it from bit – A

“Le parole e i pensieri seguono regole formali, o no?”

Se lo chiede Douglas Hofstadter nel suo saggio “Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante”, pubblicato nel 1979.

A prima vista sarà una lettura interessante e piacevole, abbiamo solo iniziato a leggerlo, è un tomo di 800 pagine. Avventurandoci tenendo in considerazione quello pubblicato su internet, Lui disquisisce sulla probabile esistenza di modelli che indirizzano i nostri pensieri, e la lettura dell’ambiente.

Nuove scienze come l’ epigenetica e la neurobiologia stanno già dimostrando non solo la verità e l’esistenza di questi modelli (comparabili con le interfacce in informatica), o schemi formali, ma anche quella di circuiti neuronali “primitivi” che agiscono come matrici e replicano le emozioni se stimolati da eventi posti al di fuori della nostra esperienza/conoscenza; eventi fuori dagli schemi/modelli, eventi fantastici.

In altre parole: un determinato stato d’animo o emozione generato direttamente da una esperienza ‘reale’ accende parti del cervello identiche a quelle conseguenti all’immaginazione data dalla lettura di un testo che descrive la medesima esperienza.

L’epigenetica = genetica mediata dall’ambiente – invece e in breve afferma: “se il genoma è l’insieme delle istruzioni che consentono la costruzione e il funzionamento di un organismo vivente, l’epigenoma è l’insieme dei processi che consentono a queste istruzioni di essere lette nei tessuti giusti e nel momento opportuno, anche in risposta a stimoli che provengono dall’ambiente”.

A noi sembra chiara la similitudine dei processi di cui parla l’epigenetica con le regole formali di cui parla Hofstadter. E a voi?

Spingendoci oltre, ma proprio oltre, e stimolati dalla logica Godeliana, potremmo attivare le seguenti 2 comparazioni tra la genetica e l’epigenetica e le tecnologie di classificazione delle conoscenze e le strutture della cloud LOD :

  1. le tecnologie di classificazione stanno alle informazioni per costruire e far funzionare un dataset – come i geni che compongono il DNA stanno alle istruzioni per costruire e far funzionare un organismo vivente;
  2. le tecnologie di relazione permettono la lettura delle istruzioni per costruire un dataset assimilando il posto e il momento giusto dalle strutture Linked Open Data – così come l’insieme dei processi permettono la lettura delle istruzioni nel posto e momento opportuno in risposta agli stimoli ambientali.

Il nostro punto di vista è influenzato dal settore in cui lavoriamo, l’ICT, ed è volto all’organizzazione della conoscenza e alla comunicazione della stessa nelle reti digitali; i modelli di lettura derivati dall’ambiente sono metadati; il contenuto è la matrice di partenza – DNA in biologia.

Si parla sempre di innovazione, ma non c’è un metodo univoco per affermare che una soluzione sia effettivamente innovativa se non apporta un reale cambio di paradigma o una nuova tecnologia in grado di creare nuove matrici e modelli al settore della produzione industriale.

Di solito tutte le pratiche e i prodotti che migliorano e ottimizzano l’esistente non sono reale innovazione, se non di processo.

Progettando e sviluppando l’editor semantico WordLift 3.0: (che legge il testo, ne estrae i significanti secondo gli schemi esposti nella LOD, li suggerisce come nodi del grafo o metadati da allegare al contenuto, e li pubblica come singolo elemento di un sistema più complesso fatto di dataset open riusabili) ci siamo continuamente scontrati, in tutte le fasi, con la necessità di elaborare una soluzione che consenta contestualmente la lettura alle macchine di ogni singolo elemento da classificare e nello stesso tempo funzioni, potremmo dire, su schematismi di lettura e fruizione dell’utenza desunti/estratti dal patrimonio di altre scienze.

Siamo dell’idea che quando si trova una qualsiasi corrispondenza o similitudine tra ‘modelli’ e dinamiche in differenti settori di conoscenza: vada approfondita.

Quelle descritte in questo post sono ancora a livello speculativo, potenzialmente interessanti, da approfondire; potremmo trovare spunti solidi da considerare. Sono come suggerimenti da assimilare quando si cerca una soluzione che non sia vittima dell’evoluzione tecnologica.

Chi agisce come essere umano spinto da uno spirito evolutivo è propenso a considerare come principali e necessarie le attività volte prima a conoscere e poi a comunicare: semplicemente le dividiamo. Si, è vero, tante volte magari spinti dalla socialità comunichiamo senza conoscere, sulla fiducia, così come tanti di noi hanno la giusta voglia e la curiosità adatta per migliorare la loro conoscenza, ma non per comunicarla: per mancanza di volontà o di competenze cognitive e sociali.

Nell’ambito ‘digitale’: una volta acquisita la conoscenza dovremmo renderne obbligatoria l’organizzazione per disporla a molteplici modelli di lettura. Per farlo dobbiamo necessariamente acquisire skills tecnici che ci aiutano ad integrarla in più schemi di classificazione. Da questo momento le macchine possono lavorare e organizzare anche la comunicazione. Qui abbiamo bisogno di un traduttore che ci permette di passare dalla comunicazione digitale a quella umana.

Nel contesto della comunicazione umana (o interpersonale) nei primi anni ’90 dominavano ancora i risultati che nel 1967 erano stati pubblicati a seguito dello studio di Albert Mehrabian. Questi introducono criteri di efficacia in percentuale della comunicazione non verbale 93%, e verbale 7%. A questo risultato si arrivava facendo giudicare ai partecipanti serie di 3 parole sulla base della loro positività, negatività, neutralità. Una volta scelte le parole assimilabili a queste 3 categorie, le stesse venivano lette con atteggiamenti e toni diversi e poi chiesto agli esaminati il giudizio. Il risultato è stato quello di evidenziare la forza della comunicazione veicolata: guardando il viso (55%), sentendo dal tono della voce (38%), dal contenuto del messaggio (7%).

Per tantissimo tempo tutti i master per la formazione sui temi della comunicazione interpersonale usavano il claim: “solo il 5% della comunicazione è verbale” (abbassando ulteriormente il risultato dello studio).

– traslato nel nostro contesto …

Nello stesso tempo il web a metà degli anni ’90 era soggetto ai primi studi sulla comunicazione tramite le interfacce, e non solo. A Nizza-Francia e in Inghilterra vengono effettuate le prime valutazioni sulla comunicazione uomo macchina attraverso l’analisi della fruizione utente delle informazioni contenute nelle interfacce.

Nascono i laboratori che catturano i movimenti oculari in risposta agli stimoli, all’informazione veicolata, nelle diverse aree delle interfacce. Erano schemi costruiti e confinati: dalle esperienze analogiche fatte sui quotidiani e riviste cartacee; dalle classificazioni dettate dall’importanza e dalle categorie che descrivevano quel determinato dominio informativo (ancora non era espresso in questa forma); da soluzioni di grafica/immagine costretta dal browser e estrapolata dalle presentazioni (brochure aziendali) e promozioni professionali di prodotti e servizi.

Il risultato è stata una partizione delle interfacce in aree che meglio soddisfacevano la comunicazione all’utenza del contenuto e delle relazioni con gli altri ambienti digitali. Aree di comunicazione che ancora oggi vengono considerate soprattutto dalle grandi Organizzazioni.

Queste considerazioni hanno inoltre fatto da guida all’evoluzione della comunicazione digitale della conoscenza filtrata dalle macchine, che si trattasse di multidevice, ‘pervasività’ o touch screen.

Il settore in cui ci siamo maggiormente applicati nelle esperienze lavorative, è quello dell’organizzazione della conoscenza e della comunicazione multimediale con l’uso e la qualità delle interfacce che man mano la tecnologia e le esperienze interdisciplinari ci mettevano a disposizione.

In un certo senso abbiamo integrato di volta in volta gli stati di avanzamento delle tecnologie che generano nuovi modelli di fruizione dei contenuti con quelle che danno risposta a determinati bisogni.

Considerando le reti digitali siamo passati da un tempo in cui si collegavano le macchine a quello in cui i contenuti venivano linkati tra di loro. Da qualche anno siamo nella necessità di compiere un ulteriore passo e collegare tra loro i dati in maniera strutturata.

L’affermazione della cloud LOD e dei grafi della conoscenza condivisi (dbpedia, freebase e geonames) stanno accellerando l’applicazione di questa ultima fase: creare sistemi in grado di pubblicare i contenuti in forme comprensibili alle macchine e fruibili dall’uomo.

Fin qui siamo arrivati, e abbiamo individuato una prima soluzione che traduce le informazioni alle macchine rispettando e integrando nel mondo digitale anche modelli analogici: nelle fasi di costruzione dei grafi della conoscenza.

Il prossimo step probabilmente riguarderà l’assimilazione nei processi evolutivi delle differenti forme espressive in cui possono essere comunicate le conoscenze: identificando e organizzando nuove parole, nuovi pensieri, nuove regole formali con le quali le forme d’arte in musica e immagini ci comunicano il mondo che abbiamo dentro e che ci circonda.

… siamo involontariamente seguaci della teoria it from bit! .. continua

L’immagine introduttiva è tratta da una galleria di dipinti ispirati al DNA che s’intitola DNA Art Online.