Al festival internazionale del giornalismo, aprile 2015, si è discusso del giornalismo digitale e della difficoltà a trovare un nuovo modello che permetta al giornalismo di essere pagato, e quindi sopravvivere.
Zero Calcare invitato al festival perchè con le striscie pubblicate su internazionale.it è stato in grado di coinvolgere i più giovani.
Anche uno scrittore che più influenza i pensieri degli americani riguardo al rapporto con i new media, Jonathan Franzen, ma non ho letto niente di Lui, dice che si ritiene fortunato perchè in quanto romanziere è pagato per i contenuti che produce; mentre chi lavora nel web fa fatica soprattutto se è un freelance.
A dirla tutta ha cattive opinioni sui nuovi tipi di professione di informatori digitali, perché: disinformano, opprimono e uniformano le opinioni. E si riferisce rispettivamente ai: leakers, citizen journalist, crowd sourcing, che danno solo opinioni personali e a volte violente.
Nel web ci sta tutto e personalmente diffido di chi addita come derive le “prove tecniche” sulle potenziali nuove professioni che da 20 anni circa vengono promosse dalla tecnologia, o domandano tecnologie per esprimersi. Sembrano come lamenti di una gioventù passata.
Nel corso del festival del giornalismo digitale un giornalista del Guardian, Aron Pilhofer, in un intervento illustra la loro esperienza, che ha dato come risultati alcune attività necessarie al ridisegno della professione di giornalista. Non si tratta solo di possibili risposte a domande tipo: quale potrebbe essere il nuovo business? come monetizzare, o quale è il valore economico della relazione con i propri lettori? Ma si parla della necessità di “ordinare la redazione”, “nuovo desk”, “live desk”, “visual desk”, e organizzare in: business, national, international la base del loro approccio al mercato.
Il dispositivo di lettura informazioni non è più cartaceo come si evince dalla vecchietta nella foto che segue.

Se si parla di circa 200mila quotidiani al giorno .. on line sono 120milioni (fonte The Guardian), abbiamo una stima dell’offerta di contenuti, ma anche della necessità di riordinare le redazioni digitali al fine di costruire i propri archivi interni in relazione ai temi trattati dalla testata, e che gli stessi siano conformi agli archivi open sul modello dbpedia di internet.
Dobbiamo allo stesso tempo ridare forza alla professione del giornalista dotando la redazione di strumenti in grado di supportare sia la fase di scrittura, che quella di pubblicazione dei contenuti senza richiedere skill tecnici al giornalista digitale. Proprio come auspicato dal compianto da poco David Carr del New York Times.
La personalizzazione dell’editor semantico WordLift 3.0 permette il nuovo design della redazione digitale conforme ai risultati dello studio del Guardian, ma solo per gli utenti della piattaforma di CMS WordPress.WordLIft 3.0 fa passare dall’informazione alla conoscenza evitando il complotto.
Nota: post già pubblicato su medium/it